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Mandarini, mandaranci e clementine: differenze, quale consumare e perché

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La genetica ha spiegato perché alcuni agrumi sono dolci e altri più aspri: la risposta è nei tre antenati degli agrumi.

Quando si avvicina l’inverno, le cassette di agrumi arrivano puntuali in cucina. Mandarini, clementine, mandaranci… a prima vista sembrano la stessa cosa, ma appena ne sbucci uno, capisci che non lo sono affatto. Uno è più aspro, uno dolcissimo, un altro ha un profumo strano, quasi resinoso. La spiegazione non è solo nel palato: negli ultimi anni la genetica degli agrumi ha dimostrato che molti di questi frutti derivano da incroci complessi tra tre specie originarie: mandarino, pomelo e cedro. Le differenze tra le varietà più comuni sono evidenti anche in laboratorio: acidità, quantità di zuccheri, molecole aromatiche, presenza di semi e colore del succo. Tutto dipende da **quanta eredità genetica hanno preso dai loro “genitori”.

Le differenze tra clementine, mandarini e mandaranci iniziano da come sono nati (e da cosa hanno dentro)

Il mandarino, chiamato Citrus reticulata, è una delle tre specie “madri” da cui derivano tutti gli agrumi moderni. È un frutto antico, con un profilo aromatico complesso, spesso più aspro, e contiene meno limonene ma più γ-terpinene, la molecola che dà quella nota “verde” tipica del suo profumo. Quando lo si sbuccia, si sente subito qualcosa di più forte, meno dolce, quasi resinoso. Non è un caso: in laboratorio si vede che il limonene nel succo di mandarino si ferma al 66%, mentre il γ-terpinene sale al 21%. È questo equilibrio che rende il mandarino meno uniforme, ma anche più caratteristico.

Mandarini

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La clementina, invece, è un incrocio fra un mandarino mediterraneo e un’arancia dolce. E l’arancia, a sua volta, discende da ripetuti incroci tra pomelo e mandarino. Questo mix genetico le ha dato un gusto più dolce, un pH più alto e quasi niente semi, perché è spesso un frutto sterile. Gli studi confermano che il suo succo ha il 90% di limonene, responsabile del classico profumo “pulito” da agrume fresco. L’acidità è più bassa rispetto al mandarino, e infatti al palato è più morbida, più equilibrata. È per questo che in inverno la clementina viene preferita da molti, soprattutto per chi cerca qualcosa da mangiare senza sporcare o schizzare.

Poi ci sono i mandaranci, tecnicamente noti come tangor, che derivano anche loro da incroci tra arance e mandarini, ma seguendo linee genetiche diverse. Sono più “rustici”, con un profilo aromatico più aspro, spesso meno regolari nella forma, e una maggiore acidità. Il cultivar Ortanique, ad esempio, ha raggiunto nell’analisi di laboratorio una TA (acidità titolabile) di 35.8 g/L, la più alta tra tutti i frutti studiati. Anche il pH è più basso, intorno a 3.5, e questo spiega perché i mandaranci danno quella sensazione pungente in bocca, anche se all’apparenza sembrano simili alle clementine.

Il succo rivela tutto: acidità, zuccheri e aroma cambiano tra ogni cultivar, ecco cosa percepiamo davvero

Uno studio condotto in Spagna su 11 cultivar ha messo nero su bianco quello che i consumatori percepiscono a livello gustativo: clementine e mandarini sono frutti completamente diversi anche per struttura interna. Le analisi hanno misurato pH, zuccheri (°Brix), acidità e indice di maturazione (MI), ossia il rapporto tra dolcezza e acidità. E proprio quest’ultimo è il dato che il palato sente subito, anche senza conoscere i numeri. Le clementine hanno un MI molto alto, il che le rende immediatamente gradevoli, con un equilibrio delicato tra dolcezza e freschezza. I mandaranci invece hanno valori più bassi e irregolari, quindi risultano più forti, più intensi, meno facili da abbinare.

Anche il profilo aromatico conferma tutto. Oltre a limonene e γ-terpinene, alcuni ibridi più recenti come Tacle e Clara – incroci tra clementina e arancia rossa – mostrano tratti nuovi. Il loro succo ha una resa del 40-48%, contiene vitamina C fino a 77 mg/100 mL e tracce di antociani, i pigmenti rossi tipici delle arance Tarocco. La Clara, in particolare, combina la dolcezza della clementina con la forza visiva del rosso naturale, mantenendo un profilo aromatico pulito e moderno, adatto anche alla spremuta.

È interessante notare che, mentre a occhio nudo questi frutti si somigliano molto, il palato riesce a distinguere perfettamente i più dolci dai più acidi. E ora sappiamo anche perché. La genetica, la composizione aromatica e i valori nutrizionali spiegano tutte le sfumature che percepiamo al morso. Quando diciamo “questa clementina è buonissima”, spesso stiamo solo reagendo a un MI alto o a un limonene dominante, anche se non ce ne rendiamo conto.

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